Spiegare questo meccanismo biologico-informatico della MENTE, qualche anno fa sarebbe stato più difficile, ma oggi con l’esempio delle INTELLIGENZE ARTIFICIALI può essere più comprensibile.
Dal VIDEO della HOMEPAGE del SITO-BLOG: Ignazio Licata – Parte 2 – Min.7,30
… usano le contraddizioni…. Perché la vita non è un teorema logico. … Quindi è un continuo confrontarsi con il mondo che cambia. Quindi le certezze saltano. Quindi utilizziamo molte strategie… E non pensiamo che la realtà sia lì, ambito non oggettivistico, rispetto all’ambito oggettivistico; ma in realtà la costruiamo continuamente. … Noi non fotografiamo la realtà, la ricostruiamo continuamente (e vediamo poi se funziona).
Ovvero la mente umana non fotografa la realtà, e nemmeno funziona come una videocamera digitale. Al limite, i ricordi si potrebbeno paragonare a dei frammenti di singoli fotogrammi di una vecchia pellicola analogica, che poi la nostra mente la ricostruisce in un movimento continuo; ma non fedelmente al 100%.
Ad esempio, immaginiamo dieci spettatori che assistono a uno spettacolo teatrale, e il giorno dopo, vorrebbero disegnare una brevissima scena dello stesso spettacolo. Ognuno avrebbe memorizzato nella sua memoria fisica (circuiti sinaptici del cervello) dei frammenti di immagini, ma non esattamente uguali per tutti i dieci spettatori. Di conseguenza, le RICOSTRUZIONI dei dieci spettatori sarebbero tutte diverse, perchè ognuno riempierebbe le parti mancanti con la sua fantasia.
Consiglierei, per meglio comprenderlo, di leggere il libro di GEORGE BANU “Memorie del teatro”.
Ovvero, è come la nostra mente funzionasse come una “moderna intelligenza artificiale” che da una immagine, ricostruisce un video di sua fantasia che rispetti le istruzioni del programmatore. Ed è quello che avviene esattamente quando si SOGNA. E’ la nostra fantasia che fa una ricostruzione fantasiosa in base a dei ricordi registrati (frammenti) nella nostra memoria PERMANENTE, da distinguere dalla “memoria a breve”.
Stessa cosa se un medium percepisce i ricordi di una persona defunta in una seduta spiritica, in sogno, o in uno stato di alterata coscienza. E’ sempre la singola mente umana che ricostruisce le immagini, in base ai ricordi della persona defunta registrati nei registri akaschici, nell’inconscio collettivo di Jung, o nella “rete degli inconsci”.
Così, a mio parere, erano gli SPIRITI INTELLIGENTI di ROL. Una ricostruzione mentale, in accordo ai SISTEMI COMPLESSI (la mente umana è un sistema complesso) che gli apparivano nelle sedute spiritiche o in altri stati di alterata coscienza. Non delle vere entità indipendenti.
Se apparivano ad altri medium, non apparivano identici, ma la RICOSTRUZIONE di ogni medium, in base all’inconscio del medium, li modificava.
CONCLUSIONE.
Non esiste nessun vero spirito indipendente, ma i ricordi dei defunti possono essere utilizzati dai medium e dai sensitivi come in una MODERNA INTELLIGENZA ARTIFICIALE.
Se accettiamo la teoria della RETE DEGLI INCONSCI, allora, possono nascere dei SOGNI COLLETTIVI di gruppi di persone, più o meno numerose, che possono RICOSTRUIRE pseudo entità più potenti, come dei demoni, in grado di influenzare pesantemente (suggestionare come in ipnosi) le menti di singole persone (possessioni); o più persone in una seduta spiritica, comunicando anche una profezia che si autoavvera (vera o falsa), o dei sogni premonitori.
Nel caso della RETE DEGLI INCONSCI, sono altre menti (o altri inconsci) a DIRIGERE una singola mente nel RIEMPIRE I VUOTI delle IMMAGINI, non a secondo la fantasia della persona, ma con una REGIA e SCENEGGIATURA telepatica esterna.
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Un brano di un articolo “FONDAMENTI DEL TEATRO: BANU E IL RICORDO DELL’EFFIMERO”
A teatro la memoria è paradossale. Da un lato, in quanto arte, almeno in Occidente, non ha che una memoria parziale, a buchi, frammentaria, e dall’altro conserva un carattere di cosa rammentata che, oggi ancor più del solito, cerca di mostrarsi nell’attualità di un corpo, di uno spettacolo.
Nonostante questa passione recente, il teatro da sempre si immerge in ciò che risale dal passato e l’attore compie in se stesso gli sponsali del tempo antico con quello di adesso. Serve da supporto e da mediatore, da ponte e da trappola per topi − è all’incrocio delle durate, perché il teatro si fa carne, diventa presente. Sì, risponde qualcuno, queste alleanze che la scena realizza sono fuggitive. Passeggere. Si sfanno conservando dietro di sé sempre poche tracce: oltre i luoghi e i testi, il mare dell’oblio sembra inghiottire l’atto che è riuscito per un istante ad attualizzare la memoria. Qui, dove la conservazione corretta è impossibile perché lo spettacolo non potrà mai essere integralmente preservato, a differenza di un quadro o di un romanzo, l’imminenza dell’oblio appare al tempo stesso come destino e come sfida. Destino che conserva l’atto votato alla cancellazione e sfida che aspira ad esaltare la memoria proprio là dove la memoria è maggiormente minacciata. L’effimero, la sua coscienza, chiamano l’essere che recita o l’essere che guarda a diventare esseri di memoria. Il ricordo dipende soltanto da loro perché sanno che, più tardi, nessuno avrà più accesso direttamente all’opera ma soltanto a testimonianze. Le loro.
Lo si sa, l’oblio, la sua estensione è l’altra faccia, imperativa, della memoria. Questa trattiene frammenti mentre continenti interi si disaggregano: i poteri dell’oblio sorpassano sempre le risorse della memoria. Il teatro esaspera il confronto di questa bipolarità perché la sua memoria, la memoria dell’atto, esiste ma non si fissa in una realtà che ci permetterebbe di farvi ritorno: l’oblio la corrode e il ricordo la trasforma.
[Per questo], quando si vede il teatro, al presente dello sguardo si aggiunge la coscienza del suo sparire e, implicitamente, della memoria come estremo soccorso. Là dove nulla rimane come fu, lo spettatore sa che l’ultima opportunità rimasta è la sua. L’imminenza della cancellazione acutizza la coscienza della memoria. Non si vivrà e non si vedrà più quello… e da allora si resiste salvaguardando lampi del teatro che passa, atolli luminosi circondati dall’oceano dell’oblio. La memoria del teatro è dunque una memoria macchiata di soggettività, un po’ scorretta, come una memoria della vita.