La Bibbia: dal politeismo sumero al monoteismo

La Bibbia nasce da una varietà di tradizioni orali che, progressivamente, sono state raggruppate e messe per iscritto. Questa lenta formazione spiega la ragione per cui nella Bibbia sono presenti generi letterari e stili così diversi tra loro e perché di alcuni libri si possano identificare gli autori mentre di altri essi rimangano sconosciuti.
Ci sono voluti circa dieci secoli, mille anni, per comporre la Bibbia nella sua globalità cosi come la conosciamo oggi: si è trattato dunque di una nascita assai lenta, che ha visto il testo sacro prendere forma attraverso ambienti, civiltà e culture assai diversi tra loro. Si può dire che la Bibbia sia stata scritta da un intero popolo, poiché essa è andata formandosi con il progredire della storia e della cultura di Israele stesso.
Nei numerosi racconti dell’Antico Testamento non è difficile trovare immagini che hanno un’origine più antica, facendo parte dei miti e delle tradizioni orali dei popoli che vivevano nella zona vicino alla Palestina: gli autori dei testi sacri si sono serviti di questo materiale preesistente rielaborandolo però in modo assolutamente originale e inserendo ogni vicenda e racconto nell’orizzonte della fede in un dio unico, vero e propria novità rispetto alle culture e fedi religiose dell’epoca.

Zecharia Sitchin nato a Baku, l’11 Luglio 1920 e morto a New York il 9 Ottobre 2010 è stato uno scrittore, autore di molti libri sulla cosiddetta pseudo-archeologia, e un sostenitore della “teoria dell’antico astronauta” come spiegazione dell’origine dell’uomo. Secondo l’interpretazione data da Sitchin della cosmopologia sumera, il sistema solare avrebbe un decimo pianeta, Nibiru che avrebbe avuto un impatto catastrofico con un altro ipotetico pianeta, chiamato Tiamat e posto tra Marte e Giove. Secondo Sitchin, su Nibiru abitava una razza tecnologicamente avanzata e simile a quella umana, questi esseri erano chiamati Anunnaki dalla mitologia sumera e che compaiono nella Bibbia col nome di Nephilim ed Elohim. Secondo Sitchin sarebbero arrivati sulla terra 450.000 anni fa, alla ricerca di minerali e in particolare d’oro (che necessitavano per riparare la loro atmosfera rarefatta) e lo avrebbero trovato in Africa. Gli Anunnaki avrebbero creato geneticamente l’Homo Sapiens incrociando la loro razza con l’Homo erectus, con lo scopo di avere della manodopera per prelevare metalli dalle miniere. Sotto la guida di questi esseri, secondo l’interpretazione che Sitchin dà dei testi sumerici, gli uomini avrebbero fondato la civiltà in Mesopotamia, in Egitto e in India, grazie ad una casta di regnanti che avrebbero fatto da intermediari tra gli alieni e gli schiavi.

Queste teorie di Sitchin sono state ritenute fanta-archeologia dalla comunità scientifica internazionale, ma da qualche anno, l’ex traduttore delle Edizioni Paoline, Mauro Biglino, prendendo come base il testo masoretico ebraico ufficiale della Bibbia, e traducendolo letteralmente, afferma che nella Bibbia non si parla, almeno nei primi cinque libri a partire dalla Genesi, di un Dio monoteista, ma degli Elohim, di cui Yahweh era solo uno di loro, a cui venne affidato il popolo ebraico, a far data dalla dipartita di Abramo, verso il 1900 a.c., dalla città sumera di Ur. Mauro Biglino, ritiene che, quindi, Yahweh fosse in realtà un extraterrestre e non un Dio; e questo ha evidentemente fatto rompere i rapporti con il suo vecchio editore, ed ha iniziato a scrivere dei libri come “Il Dio alieno della Bibbia” e “La Bibbia non è un libro sacro”.

In effetti, storicamente, il monoteismo nasce in Egitto solo nel XV secolo prima di Cristo, con il faraone Amenofis IV, che introdusse una riforma religiosa di stampo monoteistico in Egitto; e la traduzione letterale della Bibbia, in realtà, darebbe ragione a Biglino, anche perché Yahweh, nel vecchio testamento, non era il Dio amorevole e compassionevole dei cristiani, ma un individuo violento, geloso e vendicativo (da alcuni calcoli, gli sono attribuiti circa 32 milioni di persone uccise nel vecchio testamento).

Chi ha ragione? …..Sitchin e Biglino, o la chiesa?

Oggi molti studiosi ritengono, come ho scritto nella prima parte, che i sacerdoti ebrei abbiano attinto dalle mitologie dei popoli mesopotamici, la loro mitologia e quindi probabilmente da quella politeistica sumera, basata sugli Annunaki, che poi si è evoluta nel tempo trasformandosi in monoteismo intorno al sesto-quinto secolo a.c.; e forse anche Mosè è un personaggio mitologico inventato, visto che storicamente non c’è traccia archeologica in Egitto di un popolo di circa 600.000 uomini (circa due milioni contando donne e bambini) che poi con l’Esodo si sia trasferito a Canaan. Se c’è stato un esodo, sicuramente, è stato di dimensioni molto minori; e anzi molti studiosi negano la storicità dell’esodo.

Se fosse così, come sembra molto probabile, perché lo stesso Gesù Cristo prima, e poi la chiesa cristiana non hanno mai sconfessato Yahweh, un personaggio mitologico, probabilmente mai esistito?

PARTE SECONDA

Abbiamo posto, quindi, seri dubbi sull’esistenza storica di Yahweh, il dio del vecchio testamento, che molto probabilmente è una divinità mitologica delle tradizioni dei popoli della Palestina e della Mesopotamia, che i sacerdoti ebraici del V, VI secolo a.c. hanno rielaborato, adattandolo a una loro teologia per tenere unito e sottomesso il popolo ebraico.
E’ facile, infatti, riscontrare in Yahweh i tipici caratteri del Padre-Padrone dell’Orda Primordiale di cacciatori-raccoglitori, teorizzata da Sigmund Freud. Il padre padrone, capo assoluto delle orde primitive, composte al massimo di trenta individui, vietava ai figli il soddisfacimento dei desideri sessuali, obbligandoli all’astinenza e favorendo in loro la nascita di quei legami emotivi scaturiti dagli impulsi la cui meta sessuale è stata inibita, legami configuratisi tra il padre-padrone e i figli e tra i fratelli. Freud dice che in questo modo il capo dell’orda immette con la forza i suoi figli nelle dinamiche psicologiche della vita collettiva. La sua gelosia sessuale e la sua intolleranza divennero in ultima analisi la causa della psicologia delle masse. Il successore del capo avrà la possibilità del soddisfacimento sessuale, avendo così la possibilità di superare le condizioni imposte da quella che Freud chiama “psicologia collettiva”. Il capo della massa è ancora sempre il temuto padre primigenio, che ti premia o ti punisce a secondo del tuo comportamento, fino alla castrazione. La massa che continua a voler essere dominata da una violenza senza confini, è sempre sommamente avida di autorità, ed ha, secondo l’espressione di Le Bon, sete di sottomissione. Il padre primigenio è l’ideale della massa che domina l’Io anziché l’Ideale dell’Io. Da qui è facile e conveniente, per avere un popolo sottomesso, teorizzare ed accettare un ipotetico dio come Yahweh, che ha tutti i caratteri del padre-padrone. Un dio che somiglia, invece, pochissimo al Dio annunciato da Gesù Cristo, amorevole e compassionevole.
In realtà, in una prima versione del Libro di Giobbe della Bibbia, si ha, per la prima volta, il superamento del complesso totemico ed edipico del padre-padrone (da leggere la bellissima trattazione che fa del problema lo psicoanalista Pier Luigi Bolmida) dove viene descritta la presa di coscienza con cui Giobbe (o l’uomo in generale) può accedere alla formulazione di un nuovo concetto, costruendo l’idea di un Dio, mosso da una logica indipendente dalla realizzazione immediata dei desideri e dal soddisfacimento dei bisogni umani. In effetti, al termine della sua dolorosa e difficile ricerca, Giobbe giunge a comprendere che la legge divina, che origina e regola tutto il creato, si caratterizza per le proprietà di neutralità, non finalità e casualità (imperscrutabilità); ogni elemento del Creato, dal firmamento alla più piccole delle cose, è animato da questa volontà universale. La prima, poderosa scoperta di Giobbe, che lascia stupiti e attoniti, è che il cielo stellato sopra di lui non contiene nessuna legge morale, nessun imperativo etico, né regola o divieto che riguardino il bene e il male. Il Principio creatore non ama e non odia, non protegge e non castra. Scrive Gianfranco Ravasi, uno dei massimi biblisti del vaticano, oltre ad essere stato uno dei cardinali papabili nell’ultimo conclave:”…In questo mirabile discorso si celebra una vera e propria rivoluzione copernicana nella cultura dell’antico Oriente: l’uomo non è più al centro del creato, come insegnava la sapienza tradizionale, ma ne è solo una microscopica componente che non riesce a rendere conto dell’insieme del cosmo. L’universo appare incomprensibile e ignoto nell’ infinitamente grande (le strutture planetarie) e nell’ infinitamente piccolo (il parto delle camosce). Eppure, l’Essere ha un progetto che tiene insieme armonicamente aspetti tanto disparati”. Purtroppo, nelle versioni successive, il senso e la morale del Libro di Giobbe, ad opera dei sacerdoti ebraici e della chiesa, viene nuovamente stravolto, e si ritorna al concetto di un Dio, padre-padrone, e la traduzione greca dei Settanta non si accontenta del trionfo fisico di Giobbe ed aggiunge questa glossa finale: “Sta scritto che Giobbe risorgerà di nuovo, insieme a coloro che il Signore risusciterà”.
Fatte queste premesse, il mantenere in Yahweh, inteso come il Dio monoteista delle tre grandi religioni occidentali (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam), questa duplice personalità (padre-padrone, violento e geloso da una parte, e padre amorevole e compassionevole dall’altra; anche se in evidente conflitto), si potrebbe spiegare, specialmente per quanto riguarda la chiesa cristiana, con la sua UTILITA’ nel tenere i fedeli sotto la “spada di Damocle” del peccato e della conseguente punizione; e quindi più timorosi e rispettosi nei confronti dell’autorità ecclesiastica, che si presenta come unica interprete del volere divino e vicaria di Dio sulla terra. Inoltre la chiesa dovrebbe anche spiegare perché Gesù Cristo stesso non abbia sconfessato Yahweh. Il che non è semplice.

PARTE TERZA

Abbiamo proposto la nostra tesi sul perché i sacerdoti ebraici e le chiese cristiane, pur consapevoli che il dio Yahweh del vecchio testamento fosse un personaggio inventato, non lo hanno mai sconfessato, in modo da avere dalla loro parte e di cui interpretavano il volere, un dio violento e geloso, che avrebbe punito coloro che dissentivano dai loro dettati. Su questi presupposti sono nate, ad esempio, le Crociate e l’Inquisizione, due delle pagine più disumane della storia.
Restava la domanda sul perché Gesù Cristo non avesse sconfessato un dio come Yahweh, così diverso dal Dio amorevole e compassionevole che predicava.
Non pretendiamo certo di entrare nella mente di Dio, ma vogliamo azzardare lo stesso una nostra tesi.
Il nuovo testamento, rispetto al vecchio, si caratterizza soprattutto non sui “divieti”, ma su cosa deve fare un buon cristiano; e tende a rendere più umana la legge divina. Ad esempio, la legge ebraica escludeva dalla “comunità” coloro che riteneva impuri, tanto che non potevano entrare nemmeno nel tempio. Secondo una realistica interpretazione, Gesù Cristo non compie i “miracoli” per dimostrare di essere il Verbum o il Logos di Dio, ma per dare dei segnali concreti che nessuno può essere escluso dalla comunità. Guarisce, infatti, persone ritenute impure, come i lebbrosi e la donna dalle continue perdite di sangue, avvicina e salva dalla lapidazione prostitute ed adultere, esorcizza gli indemoniati; da maggiore dignità alle donne e concede a Maria Maddalena (che non è affatto la prostituta incontrata in episodi precedenti) il privilegio di vederlo per prima dopo la resurrezione, etc.

Si potrebbe condensare il senso del messaggio evangelico nella parabola di buon samaritano, nella versione di San Luca, in cui lo scriba chiede a Gesù “cosa deve fare per avere la vita eterna”.

Vediamola: “Un dottore della legge”, cioè un esperto, negli altri vangeli si chiamano scribi, sono i teologi ufficiali del magistero di Israele, “si alzò per …”, non è per metterlo alla prova, ma “per tentare Gesù”. Il verbo è lo stesso che l’evangelista ha adoperato per le tentazioni di Gesù da parte del diavolo nel deserto.
Quindi il grande difensore della legge, in realtà per l’evangelista, non è altro che uno strumento del diavolo.
E gli chiede: «Maestro», ecco la falsità tipica delle persone religiose, lui non vuole apprendere, lui vuole condannare, vuole mettere una trappola a Gesù. E chiede cosa deve fare per avere la vita eterna. Gesù gli risponde in maniera molto distaccata, molto ironica. Immaginiamo che questa persona è una che ha dedicato tutta l’esistenza alla conoscenza, alla lettura e all’interpretazione della sacra scrittura. E gli chiede «Che cosa sta scritto nella legge», e poi, soprattutto, «Che cosa vi leggi?», cioè che cosa capisci?
Perché non basta leggere la Bibbia, bisogna anche capirla. Se non si mette come primo valore il bene dell’uomo, la Bibbia può essere letta, riletta, predicata, annunziata, ma non si capirà. Il dottore della legge risponde con quello che era il credo di Israele, tratto dal Libro del Deuteronomio, cap. 6, e ci aggiunge il precetto del Levitico. Quindi all’amore a Dio con tutta l’anima, un amore assoluto, la carità per il prossimo che è relativo, «come te stesso».
E Gesù dice «Hai risposto bene; fa questo è vivrai. Ma quello, volendo giustificarsi …». Perché giustificarsi? All’epoca di Gesù c’era un grande dibattito tra le scuole rabbiniche su chi fosse il prossimo. Si andava dalla concezione più ristretta, “il prossimo è soltanto colui che appartiene al mio clan familiare o alla mia tribù”, a quella più larga che includeva nel prossimo anche lo straniero che abitava dentro i confini di Israele.
E quindi il fatto che voglia giustificarsi significa che questo dottore della legge è per l’interpretazione più restrittiva. Ed ecco stupenda la parabola di Gesù. «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico», da 800 e più metri d’altezza sul livello del mare, Gerico è a 258 metri sotto il livello del mare, in pochi chilometri; è un percorso difficile, disagiato e un luogo pericoloso.
L’uomo cade in mano ai banditi che lo lasciarono moribondo. In quella strada, in quelle condizioni la morte è certa, a meno che non capiti provvidenzialmente qualcuno. Infatti, provvidenzialmente – questo che qui è tradotto con ‘per caso’, significa fortunatamente e Gesù aumenta l’attenzione nei suoi ascoltatori – «Un sacerdote scendeva», è importante l’indicazione che sta scendendo. Gerusalemme era la città dove c’era il tempio e Gerico una città sacerdotale.
I sacerdoti salivano a Gerusalemme per entrare in servizio presso in tempio e per una settimana dovevano essere pienamente puri per officiare di fronte al Signore, quindi non abbiamo qui un sacerdote che sale a Gerusalemme, ma che scende. E’ stato a contatto con il Signore per una settimana. E’ pienamente puro; meglio non poteva capitare.
«Scendeva per quella medesima strada e quando lo vide … », la salvezza è imminente. Ed ecco la doccia fredda, «Passò oltre». Perché? E’ insensibile? E’ disumano? No, peggio: è una persona religiosa, e secondo la sua religione, la sua legge, il libro del Levitico e dei Numeri gli impedivano di toccare un morto. A lui, che era sacerdote, impedivano di toccare anche il cadavere dei propri genitori.
Quello che Gesù sta mettendo in questione è una faccenda molto seria. La legge va osservata anche quando è causa di sofferenza per gli uomini? Quando c’è conflitto tra la legge divina e il bene dell’uomo, cosa si fa? Il sacerdote non ha dubbi: viene prima la legge divina e poi il bene dell’uomo. Ugualmente un levita, cioè gli addetti al culto.
E quindi per l’uomo, poveretto, non c’è più nessuna speranza. Non solo non c’è nessuna speranza, ma cosa succede? «Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide», i Samaritani erano nemici dei giudei. Ogni volta che si incontrarono c’era la lite ci scappava il morto. Qui, figuriamoci, c’è un Samaritano che vede un suo nemico mezzo morto, cosa farà? Lo accopperà.
«Lo vide», ed ecco, clamoroso, «ne ebbe compassione». Il verbo ‘avere compassione’ è un verbo tecnico che indica un’azione divina con la quale il Signore restituisce vita a chi non ce l’ha. Si distingue tra ‘avere compassione’, azione divina, e ‘avere misericordia’, azione umana.
Avere compassione in questo Vangelo appare tre volte, quando Gesù vede il figlio morto della vedova di Nain, ne ebbe compassione e lo risuscita, quando il Padre del figliol prodigo vede il figlio ne ha compassione e gli restituisce la vita. Ebbene l’unico personaggio al quale viene attribuita un’azione divina è proprio quello è considerato il più lontano da Dio, un nemico di Dio, un rivale di Dio.
Gesù sta rispondendo alla domanda “chi è il credente”? E’ colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi o colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo? La risposta è molto chiara.

«Lo vide. Gli si fece vicino», se ne prende cura in maniera addirittura esagerata, si fa servo di quest’uomo. Ed ecco la domanda finale di Gesù al dottore della legge. «Chi di questi tre» – allora abbiamo un sacerdote, un levita e un Samaritano – «ti sembra sia stato prossimo?»

Lui aveva chiesto “Chi è il mio prossimo?” Invece Gesù, capovolge la domanda e gli chiede “chi sia stato prossimo”. Questo voluto capovolgimento di domanda indica che l’importante non è amare il prossimo (o averne carità), ma capire cosa fare per diventare prossimo per chi ne ha bisogno.
E quando lo scriba rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va e anche tu fai così». E ancora una volta, Cristo ribadisce, in modo lapalissiano, che si tratta di fare azioni concrete e non solo di provare sentimenti, senza conseguenze pratiche per chi ne ha bisogno.

Riguardo, invece, l’altra importante questione: “. La legge va osservata anche quando è causa di sofferenza per gli uomini? Quando c’è conflitto tra la legge divina e il bene dell’uomo, cosa si fa?”, sembrerebbe che Gesù Cristo avesse già previsto e preventivamente criticato la futura impostazione metafisica fatta dal neoplatonico Sant’Agostino del messaggio evangelico.

Il tipo di spiritualità metafisica di Sant’Agostino non sembra in linea con le parole di Gesù. Azzardando un parallelismo, un po’ come il filosofo Umberto Eco scrisse qualche decennio fa sull’Espresso, riguardo alla politica:

“La repubblica I-DEA-LE di Platone, poteva andare bene agli DEI, ma non agli uomini. Fare politica significa scegliere il male minore per il bene dei cittadini”.

Il tipo di spiritualità che nascerebbe, invece, dalla visione alternativa della realtà, che deriva dalla mia teoria, contrasterebbe molto meno.

In conclusione, a Cristo interessava comunicare il messaggio evangelico, ovvero cosa dobbiamo fare per diventare Prossimo per chi ne ha bisogno, e come osservare le leggi divine; e non insegnarci come è fatto il mondo o come è stato creato (vedi: Genesi); e quindi probabilmente nemmeno si è curato di sconfessare Yahweh, cosa che sarebbe stata, a quei tempi, poco comprensibile per le masse.

Riccardo Calantropio

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NOTE:

AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO. Si può comandare l’amore?

Per rispondere alla domanda “Se l’amore è un sentimento, come può essere un comandamento?”, prendiamo spunto dalla relazione di PIERO STEFANI, (In un convegno a Milano, organizzato da Biblia, il 13 novembre 2005). Il relatore ci ricorda che «Ama il prossimo come te stesso» (Lv 19,18) era già presente nel vecchio testamento. Nel precetto del Levitico, però, il verbo amare REGGE ECCEZIONALMENTE IL DATIVO. Ciò avviene perché ha a che fare con l’operatività. Il comandamento, infatti, significa: AGISCI amorosamente verso il tuo prossimo. Se traduciamo, allora, il comandamento come AGISCI caritatevolmente, lo collochiamo nell’ambito del LIBERO ARBITRIO, della VOLONTA’ e quindi della RAGIONE. Con questa interpretazione non vi è l’alibi di non riuscire, a volte, ad amare il prossimo. Con la ragione puoi importi di rispettare la legge umana o divina (ovvero agire caritatevolmente), anche se i tuoi sentimenti irrazionali inconsci sono momentaneamente contrari.

In conclusione, Cristo non solo ha sottolineato la corretta interpretazione del passo del LEVITICO “AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO”, come AZIONE VERSO I BISOGNOSI e non come SENTIMENTO; ma ha capovolto il CONCETTO DI PROSSIMO. Il prossimo siamo NOI e dobbiamo divertarlo giorno, per giorno, nei confronti dei nostri fratelli più bisognosi.

Purtroppo, nel vangelo di San Giovanni (scritto intorno all’anno 100, e quindi quando l’apostolo Giovanni doveva avere teoricamente circa 90 anni; ed intriso di filosofia gnostica di quel tempo), il concetto precedente esposto, in modo così chiaro, viene travisato e si attribuiscono a Cristo le parole “Vi dò un comandamento nuovo: che vi amate gli uni gli altri”. In realtà Cristo non aveva nemmeno pronunciato l’equivalente “Ama il prossimo tuo come te stesso”, perchè questa frase del levitico l’aveva pronunciato lo SCRIBA; e Cristo ne aveva corretto il significato. Cristo non poteva affermare una stupidaggine simile, in quanto i sentimenti non si possono comandare.

La cosa grave è che il concilio di Nicea, voluto politicamente dall’Imperatore Costantino per unificare le tante interpretazioni del vangelo, scelse ERRONEAMENTE come canonici i tre vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca) e il vangelo (detto di San Giovanni) che non si limitava a raccontare gli episodi, ma li voleva interpretare alla luce della filosofia gnostica di quel tempo (spesso travisandoli). Quando circa sessant’anni dopo Sant’Agostino (Plotiniano, neoplatonico) si convertì al cristianesimo, trovò la sua metafisica molto più congeniale con il vangelo di San Giovanni, e su questo, più che sugli altri tre vangeli sinottici, fondò la sua teologia. Il danno irreparabile arriva fino ai nostri giorni; e nemmeno la dottrina di San Tommaso d’Aquino (metafisico aristotelico) cambia la situazione.

E nello stesso titolo dell’ENCICLICA di Benedetto XVI, DEUS CARITAS EST, viene evidenziato che si tratta di CARITA’ verso qualcuno e non di amore.

Ovviamente, nella stessa enciclica, incentrata sul vangelo DUBBIO (ovvero che non doveva essere inserito tra i vangeli canonici) di San Giovanni, Benedetto XVI, teologo agostiniano, neoplatonico, cerca di arrampicarsi sugli specchi, adducendo delle motivazioni appunto METAFISICHE, ma non realistiche e contro le neuroscienze.

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Una curiosità significativa:

Nel 2011 sono stato il principale ideologo e promotore, insieme al Prof. Alessandro Bertirotti, docente di Antropologia Culturale e della Mente, del Manifesto del futuribile per una Confederazione di Movimenti Umanitari ed Ambientalisti, e il testo elaborato finale è stranamente simile, nei concetti espressi, all’interpretazione della Parabola del Buon Samaritano:

Questo gruppo nasce in seguito all’elaborazione di un Manifesto del futuribile:

CARTA per la creazione ed azione di una confederazione dei movimenti umanitari.

Preludio

Questa CARTA nasce in seguito a discussioni, scambi di opinioni ed idee che Facebook permette a tutti coloro che utilizzano tale mezzo per lo sviluppo della propria identità e di quella comune.

Di seguito sono evidenziati i punti teorici e programmatici che un gruppo di intellettuali italiani, preso atto che esistono nel mondo oltre 130.000 organizzazioni altruistico sociali ed ambientaliste, desidera pubblicare, con lo scopo di indicare una possibile “via per il futuro dell’umanità e del pianeta terra”.

Punti elenco teorici

• Il punto di partenza della CARTA è il punto di arrivo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948 e della CARTA DELLA TERRA del 2000, nel senso che ciò che in esse vi è scritto costituisce il fondamento di qualsiasi altra azione propositiva e positiva in favore dell’umanità tutta e il pianeta nel quale abita.

• Per una concordanza universale fra gli uomini si assumono dello stesso valore intellettuale ed estetico, come morale ed etico generali, le idee di teismo ed ateismo, perché entrambe sono considerate come esercizio umano esistenziale e della mente nella costante risposta alle nostre origini, al percorso e al fine. In questo modo, tanto i credenti quanto i non credenti diventano espressioni delle stesse domande antropologicamente costruite dalla nostra specie circa l’invisibile ed il visibile.

• Non esiste, se non come necessità “attualmente biologica”, una differenziazione valoriale fra il femminile ed il maschile, la quale deve sempre e comunque tenere conto della carta dei Diritti Fondamentali dell’Umanità tutta.

• Uno degli scopi/non-scopo della vita umana è l’abbandono di tutte le forme di supremazia del più adatto verso il meno adatto, a vantaggio di interventi umanitari verso gli ignorati, i vulnerabili, i sofferenti.

• La sopravvivenza dell’umanità è sempre più strettamente legata ai fattori ambientali ed ecologici del nostro pianeta, e alle limitate risorse che ancora potrà offrire.

• Ogni essere tende alla crescita spirituale attraverso l’amore. Questo implica che ogni essere possa offrire spontaneamente un aiuto amorevole per la crescita di chiunque richieda conoscenza.

Obiettivi della CARTA

• Nascita della consapevolezza che l’altruismo sociale, la pace, la giustizia sociale, la salvaguardia dell’ambiente, la cooperazione tra i popoli e l’aiuto verso i più deboli, non fanno parte di una singola ideologa, filosofia o religione, ma sono patrimonio comune di tutti gli uomini altruisti e di buona volontà.

• Creazione ed azione di una confederazione di tutti i movimenti umanitari ed ambientalisti, presenti e futuri, che metta in primo piano solo le cose che uniscono (altruismo sociale e salvaguardia del pianeta) e in secondo piano tutte le singole ideologie, in modo che si possa raggiungere una “massa critica unitaria” in grado di incidere realmente nella gestione planetaria.

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